Il Fondo di garanzia è un istituto volto a garantire ai lavoratori subordinati il pagamento del TFR e delle retribuzioni maturate negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro in sostituzione del datore di lavoro insolvente.

Tale istituto è stato interessato da un susseguirsi di vicende normative e giurisprudenziali, che ne hanno messo a punto la procedura e la sua applicazione.

 

Normativa di riferimento

Il consiglio dell'allora Comunità Economica Europea, con la Direttiva comunitaria numero 987/1980 del 20 ottobre 1980 ha voluto garantire ai lavoratori subordinati una tutela minima nel caso di insolvenza del datore di lavoro. Lo scopo della direttiva era quello di creare un meccanismo di tutela basato sulla creazione di specifici organi di garanzia che intervenissero, in sostituzione del datore di lavoro, per il pagamento di taluni crediti dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza di quest'ultimo. La direttiva è stata attuata dallo stato italiano con due distinti impianti normativi: da un lato con la Legge n. 297/1982, che ha istituito presso l’Inps il Fondo di garanzia, con lo scopo di sostituire il datore di lavoro insolvente nel pagamento del trattamento di fine rapporto ai lavoratori dipendenti; dall’altro con il D.Lgs. n. 80/1992 che ha esteso la garanzia anche alle ultime tre mensilità dovute dal datore di lavoro che fosse assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria.

Successivamente, il D.Lgs. n. 186/2005 ha integrato il D.Lgs. n. 80/1992 in attuazione della direttiva UE 2002/74/CE del 23/9/2002, regolamentando le cosiddette situazioni transnazionali. L'intervento del fondo, infatti, opera anche nel caso in cui il datore di lavoro sia un'impresa avente attività sul territorio di almeno due Stati membri, costituita secondo il diritto di un altro Stato membro ed in tale Stato sottoposto ad una procedura concorsuale, a condizione che il dipendente abbia abitualmente svolto la sua attività in Italia.

Sono inoltre intervenute in merito alle prestazioni del fondo di garanzia le leggi fallimentari tra il 2006 e il 2008, il Codice della Crisi e dell'Insolvenza - D.Lgs. 14 del 19/1/2019 con successive modificazioni e con la relativa Circolare INPS n. 70 del 26/7/2023, nonché l’interpretazione normativa della Corte di Giustizia della Comunità Europea e della Suprema Corte di Cassazione.

Sul fondo, hanno tracciato delle linee guida anche le circolari INPS n. 74 del 15/7/2008, la n. 32 del 4/3/2018 e il messaggio INPS numero 2084 dell’11/5/2016, in merito alla predisposizione della documentazione necessaria per avviare l'istruttoria della pratica presso l'ente di previdenza. La procedura, pur potendo essere eseguita in autonomia dal lavoratore, spesso richiede il necessario intervento di un intermediario specializzato, quale un avvocato o un consulente del lavoro, specificatamente per verificare la percorribilità della richiesta, predisporre i conteggi degli importi dovuti, valutare, qualora necessario, le azioni legali da esperire per giustificare l'accesso a tale istituto.

Il fondo di garanzia afferisce alla “Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti” ed è alimentato da un contributo a carico dei datori di lavoro pari allo 0,20% della retribuzione imponibile; per i dirigenti delle aziende industriali il contributo invece è pari allo 0,40% della retribuzione imponibile.

 

I soggetti tutelati

Possono richiedere l'intervento del fondo di garanzia tutti i lavoratori dipendenti da datori di lavoro tenuti al versamento all'istituto del contributo che alimenta la relativa gestione, compresi quelli aventi la qualifica di apprendista o di dirigente. Dal 1° gennaio 2003 a seguito della soppressione dell’INPDAI a opera della legge 289/2002 il beneficio è esteso anche a dirigenti di aziende industriali. A far data dal 1 luglio 2022, con il passaggio all’INPS della funzione previdenziale svolta dall’INPGI, di cui all'articolo 1, commi da 103 a 108 della legge 234/2021, possono accedere al fondo anche giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti titolari di un rapporto di lavoro subordinato. Sono tutelati dal fondo anche i lavoratori dello spettacolo titolari di un rapporto di lavoro subordinato, in quanto per essi i datori di lavoro sono tenuti al versamento dello stesso contributo.

A decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. 36 del 28 febbraio 2021, recante il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo, i datori di lavoro subordinati dello sport hanno l'obbligo di versare il contributo al fondo di garanzia qualora:

- i propri lavoratori maturino il TFR ai sensi dell'articolo 2120 del c.c.;

- il lavoratore sportivo subordinato non maturi il diritto al trattamento di fine rapporto ai sensi dell'articolo 2123 del c.c. Quindi in caso di fondi previdenza formati con il contributo dei prestatori di lavoro: questi hanno diritto alla liquidazione della propria quota qualunque sia la causa della cessazione del contratto;

- se le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate gli enti di promozione sportiva non abbiano provveduto alla costituzione del fondo previsto dall'articolo 26 comma 4 del D.Lgs. 36/2021. Quindi in presenza del fondo gestito da rappresentanti delle società e degli sportivi per la corresponsione dell'indennità di anzianità al termine dell'attività sportiva a norma dell'articolo 2123 del c.c.

L'intervento del fondo può essere richiesto anche dagli “aventi diritto” del lavoratore. Nel merito è intervenuta la Corte di Cassazione con le sentenze n. 10208 del 18/4/2008 e n. 11010 del 5/5/2008. Secondo la Suprema Corte per aventi diritto devono intendersi non soltanto gli eredi e le persone indicate dall'articolo 2122 c.c., c. 1: ovvero coniuge, figli, parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo se a carico del lavoratore; ma anche soggetti che abbiano acquisito a titolo derivativo il diritto al pagamento del TFR. Pertanto, possono accedere al fondo di garanzia:

- le aziende operanti nel settore del credito al consumo alle quali il lavoratore abbia ceduto il proprio TFR a garanzia di un prestito;

- le imprese di assicurazione che abbiano prestato fideiussione a garanzia del rischio impiego, subentrate con diritto di rivalsa;

- le società di cartolarizzazione dei crediti eventualmente succedute nella titolarità del credito.

 

Le prestazioni erogate

Le prestazioni assicurate dal fondo di garanzia sono l’erogazione del trattamento di fine rapporto e i crediti retributivi maturati negli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, rientranti nei 12 mesi che precedono la data del provvedimento di apertura della procedura concorsuale o l'inizio di un'esecuzione forzata, a carico del datore di lavoro inadempiente assoggettato appunto alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria.

Con l'intervento del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, l’INPS mediante il fondo di garanzia eroga anche l'eventuale indennità risarcitoria da illegittimo licenziamento (art. 18) e quella di ferie non godute maturate negli ultimi tre mesi. Per tali rimborsi non sussiste più il divieto di cumulo con l'eventuale cassa integrazione fruita dal lavoratore.

L'articolo 2, c. 2, del D.Lgs. n. 80/1992 ha previsto un massimale riferito a tali prestazioni, infatti, ha sancito che la garanzia prestata dal fondo per i crediti diversi dal TFR sia limitata a una somma pari a tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile, al netto delle trattenute assistenziali e previdenziali.

Al riguardo la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha chiarito che dal massimale non devono essere sottratte le somme eventualmente corrisposte dal datore di lavoro negli ultimi tre mesi e che lo stesso, essendo un limite di pagamento, non deve essere rapportato al periodo per il quale si chiede l'intervento del fondo di garanzia.

Per completezza di informazioni si evidenzia che in via generale il diritto al TFR è assoggettato al termine di prescrizione quinquennale (art. 2948 cc) che decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, ma quando è riconosciuto da provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, tale istituto si prescrive in 10 anni (art. 2953 cc).

 

I presupposti per l'intervento del Fondo

Il criterio distintivo, presupposto per l'erogazione del fondo, è l’assoggettabilità o meno del datore di lavoro alle procedure di fallimento o liquidazione giudiziale, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e procedure per le quali l'intervento del fondo di garanzia è esplicitamente disciplinato dall'art. 2, commi da 2 a 4, della Legge n. 297/1982 e dall'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 80/1992.

Come disposto dai citati commi dell’art. 2 della Legge n. 297/1982, nell'ipotesi di dichiarazione tardiva di crediti di lavoro, la domanda può essere presentata dopo il decreto di ammissione al passivo o dopo la sentenza che decide il giudizio insorto per l'eventuale contestazione del curatore fallimentare. Ove l'impresa sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, la domanda può essere presentata trascorsi 15 giorni dal deposito dello Stato passivo ovvero, in caso di opposizione o impugnazione sul credito di lavoro, dalla sentenza che decide su di esse.

Il D.Lgs. n. 80/1992 all’art. 1, c.1 stabilisce che costituisce presupposto per accedere al fondo l’eventualità in cui il datore di lavoro sia assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell'amministrazione straordinaria prevista dal DL n. 26/1979 convertito con modificazioni dalla legge 95/1979.

Proceduta concorsuale

Quando il datore di lavoro è soggetto alle procedure concorsuali i requisiti dell'intervento del fondo di garanzia sono la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, l'apertura di una procedura concorsuale e l'esistenza del credito per trattamento di fine rapporto e/o retribuzioni rimaste insolute.

Cessazione rapporto di lavoro subordinato

La garanzia del fondo opera indipendentemente dalla causa che ha determinato la cessazione del rapporto possano essere: dimissioni, licenziamento, accordo di risoluzione o scadenza del termine in caso di contratto a tempo determinato. L'apertura di una procedura concorsuale non determina automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro, che deve intervenire quindi nei modi indicati dalla legge.

L'articolo 2119 cc, in vigore fino al 15 luglio 2022, definiva che non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda. Il codice della crisi d'impresa specifica che l'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento. Pertanto, il diritto al fondo si perfeziona non necessariamente con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge ovvero l’insolvenza del datore di lavoro, la verifica dell'esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo ovvero all'esito di procedura esecutiva.

La giurisprudenza, con la sentenza numero 23775 del 1° ottobre 2018, pur confermando la natura previdenziale dell'intervento del fondo di garanzia, in rinvio all'articolo 2120 cc contenuto nell'articolo 2 della legge 297/1982, ha ritenuto palese la necessità, affinché sorgano i presupposti per l'intervento del fondo, che sussista l'obbligo di un pagamento del TFR fissato dall'articolo 2120 cc in capo al datore di lavoro e che quest’ultimo in tale momento si trovi in stato di insolvenza. Il requisito della cessazione del rapporto di lavoro deve essere valutato con attenzione nei casi di trasferimento d'azienda compresi l'affitto e l'usufrutto.

Trasferimento aziendale

Prima del Codice della crisi il fondo di garanzia riconosceva il trattamento di fine rapporto maturato alle dipendenze del cedente sino alla data di trasferimento, salvo che l'accordo sindacale preliminare al trasferimento non avesse previsto quali condizioni di migliore favore, l'accollo del TFR da parte dell'acquirente stesso. Con il codice della crisi in caso di azienda in procedura concorsuale liquidatoria deroga ex lege alla responsabilità del cessionario per i crediti maturati presso il cedente; nell’ipotesi di azienda in procedura non liquidatoria, fermo il passaggio al cessionario dei rapporti di lavoro, non si prevede alcuna deroga alla responsabilità solidale del cessionario.

L'affitto d'azienda in fallimento/liquidazione giudiziale

Il Codice della crisi inoltre interviene sull'articolo 104 bis della legge fallimentare che regolamenta l'affitto delle aziende in fallimento. Con l'articolo 212 del CCII è stato stabilito che il credito per TFR, in presenza degli altri citati requisiti previsti dall'articolo 2 della legge 297/1982, sia considerato esigibile all'atto del trasferimento. In tale fattispecie la disapplicazione del principio della responsabilità solidale può avvenire anche senza l'intervento dell'accordo sindacale.

Intervento del fallimento nel corso di esecuzione del contratto di affitto d'azienda

Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d'azienda ma entrambe le parti possono retrocedere corrispondendo alla controparte un equo indennizzo. Poiché il fallimento dell'azienda cedente non determina l'automatica retrocessione dei lavoratori passati alle dipendenze del cessionario, durante l'affitto, poiché continua il rapporto di lavoro, le domande volte a ottenere la liquidazione della quota di trattamento di fine rapporto maturata dai lavoratori, per il periodo in cui erano le dipendenze della cedente, non possono trovare accoglimento in quanto, secondo giurisprudenza, il fondo di garanzia può corrispondere esclusivamente la quota di TFR maturata prima dell'affitto a condizione che intervenga la cessazione del rapporto.

 

Sintetica disamina Giurisprudenziale

Corte di Cassazione - sentenza numero 15832 del 6 luglio 2009

Non rientrano nell'ambito della tutela apprestata dal fondo di garanzia costituito presso l’INPS i crediti di lavoro insorti in data anteriore all'anno che precede l'inizio dell'esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro.

Le retribuzioni si considerano non pagate a causa dello stato di insolvenza, quando l'inadempimento si collochi temporalmente nei 12 mesi che precedono una delle date che la stessa disposizione considera espressione della esistenza e della irreversibilità di quello stato; ove il credito retributivo risalga a un periodo più remoto, non può esservi l'accollo del debito da parte del fondo, dovendosi escludere che per i diritti insorti in epoca anteriore al periodo di un anno l'inadempimento sia dovuto all'insolvenza.

Corte di Cassazione - sentenza numero 39698 del 13 dicembre 2021

Il fondo di garanzia non può intervenire per corrispondere al lavoratore il trattamento di fine rapporto maturato con l'azienda cedente se il medesimo ha continuato il proprio rapporto alle dipendenze della cessionaria.

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte di Appello di Milano, rileva preliminarmente che il fondo di garanzia dell'Inps può intervenire solo in luogo del datore di lavoro attuale insolvente del dipendente.

Corte di Cassazione - sentenza numero 22148 del 13 luglio 2022

I periodi non lavorati non danno luogo a diritti salariali come nella fattispecie di dipendente in cassa integrazione per sospensione di fatto dell'attività.

Devono essere esclusi, ossia neutralizzati dalla nozione di ultimi tre mesi del rapporto, i periodi non lavorati di un dipendente in cassa integrazione. Rientrano nella tutela della direttiva i mesi precedenti, nei quali invece vi era diritto alla retribuzione, purché rientranti nei 12 mesi anteriori alla data della domanda diretta all'apertura della procedura concorsuale a carico del datore di lavoro.

 

CASE STUDY

Corte di Cassazione - sentenza numero 34031 del 18/11/2022

IL FATTO AFFRONTATO

Il dipendente, all'esito della cessazione del rapporto di lavoro, promuove istanza di conciliazione ex articolo 410 cpc in data 23 giugno 2003 e, non avendo ottenuto il pagamento dell'ultima mensilità richiesta afferente a luglio 2002, ricorre giudizialmente il 7 ottobre 2003.

Rimanendo infruttuosa l'esecuzione forzata della sentenza di condanna della società, pubblicata il 3 ottobre 2007, il lavoratore propone quindi domanda al fondo di garanzia dell'Inps. Attraverso il rigetto dell'istituto previdenziale, giustificato dal fatto che la retribuzione afferiva da un periodo non ricompreso nei termini per cui opera la garanzia del fondo, il prestatore propone di corso giudiziale.

LA SENTENZA

La Cassazione, ribaltando quanto stabilito dalla Corte d'Appello, rileva che la data di presentazione della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, alla quale è poi seguito il giudizio che ha condotto al formarsi di un titolo infruttuosamente eseguito dal lavoratore, va considerato quale dies a quo nel calcolo a ritroso del periodo di 12 mesi al cui interno devono collocarsi le retribuzioni non corrisposte, rilevanti per consentire l'intervento al fondo di garanzia INPS.

Invero, per la sentenza, il termine 12 mesi decorrente a ritroso dalla data di inizio dell'esecuzione forzata, nell'ambito dei quali la tutela deve essere garantita, decorre dalla data dell'istanza di conciliazione che ha dato impulso al percorso di riscossione giudiziaria, trattandosi di condizioni di procedibilità della domanda, espressamente prevista dall'articolo 412 bis cpc. Ciò costituisce in altri termini la prova che il lavoratore si è attivato e non ha lasciato decorrere il tempo restando inerte.

Su tali presupposti la Suprema Corte accoglie ricorso del lavoratore.

Secondo i giudici di legittimità è quindi possibile includere tra le ultime tre mensilità della retribuzione, indennizzabili dal fondo, quelle dell'anno antecedente alla richiesta con cui il lavoratore ha attivato nei confronti del datore inadempiente il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro prima dell'instaurazione del relativo giudizio.

 

APPROFONDIMENTO

Natura contributiva e previdenziale del credito

Corte di Cassazione - sentenza numero 19510 del 10 luglio 2003

Viene analizzato il tema della natura dei versamenti del TFR al fondo di previdenza complementare, affrontando tre questioni:

  1. la legittimazione attiva nella procedura concorsuale
  2. la natura del credito insinuato
  3. la natura della pretesa del lavoratore

1. La legittimazione attiva nella procedura concorsuale

Il fondo è il creditore destinatario dell'adempimento, mentre il datore di lavoro è tenuto all'accantonamento delle quote e al versamento delle stesse per il rapporto di delegazione-mandato attivato con il lavoratore. In caso di fallimento, il mandato si scioglie con ripristino delle disponibilità delle risorse in capo al delegante/lavoratore che quindi avrà titolo nell'insinuazione al passivo del datore di lavoro per le quote di trattamento di fine rapporto accantonate, che in questa fase mantengono una natura contributiva.

2. La natura del credito insinuato

La Cassazione afferma che il conferimento del trattamento di fine rapporto da parte del lavoratore è finalizzato all'erogazione del trattamento integrativo secondo due distinti rapporti: quello di provvista tra lavoratore e datore di lavoro; e quello di valuta tra fondo e lavoratore.

I versamenti effettuati al fondo, sia contributivi che di quote di TFR, hanno e conservano natura retributiva fino a che rimangono accantonati presso il datore di lavoro, sia pure con un vincolo di destinazione. I trattamenti pensionistici o integrativi con cui tali finanziamenti tornano al lavoratore sotto forma di prestazione hanno invece tipica natura previdenziale.

3. La natura della pretesa del lavoratore

In caso di fallimento del datore di lavoro hanno natura retributiva gli accantonamenti che il datore di lavoro ha fatto o avrebbe dovuto fare e che non sono stati versati al fondo prescelto, questi sono oggetto di diretta rivendicazione da parte del lavoratore.

Ove le somme siano state effettivamente versate al fondo prescelto, il lavoratore vanta nei confronti dello stesso il credito a una prestazione previdenziale. Nel caso in cui non si compia il versamento al fondo prescelto, di queste somme ha piena disponibilità il dipendente che è legittimato a chiedere al datore di lavoro la restituzione diretta.

Infine, il lavoratore può chiedere al fondo di garanzia, secondo quanto stabilito all'articolo 5 del decreto legislativo 80/1992, di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i versamenti risultati omessi.

 

Avv. Lorenzo Lelli 

Componente Commissione Crisi d'Impresa - Ordine Avvocati di Roma
Consulente del Lavoro e Revisore Legale

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